Home ArticoliCriminologia Il problema è Blue Whale o il fenomeno del suicidio giovanile?

Il problema è Blue Whale o il fenomeno del suicidio giovanile?

di Sara Pezzuolo

Il problema oggi posto all’attenzione è quello dei suicidi dei giovani che praticano il “gioco” Blue Whale. In realtà, Blue Whale o non Blue Whale, avevo già posto attenzione al fenomeno preoccupante del suicidio tra i giovani così come evidenziato anche dalla rassegna dei casi USA dal 1999 al 2014. La questione non è verificare l’aderenza o meno ad un gioco virtuale ma agire studiando le dinamiche che portano al suicidio giovanile come seconda causa di morte in Italia tra i giovani dai 15 ai 29 anni (si vedano anche dati ISTAT) con pratiche che, nell’era digitalizzata si chiamano Blue Whale, in passato Chocking game, Blackout game o Aspyxial games (si veda articolo allegato Andrew & Fallon, 2007). Secondo lo Youth Suicide Prevention Program deve essere chiaro che la maggior parte dei giovani che agiscono il suicidio in realtà non vogliono morire ma, di contro, desiderano che la loro sofferenza finisca.

Life events particolarmente stressanti (es. rottura con il fidanzato, conflitto con i genitori, morte di amico o di un familiare) possono essere momenti che un soggetto particolarmente vulnerabile non riesce ad affrontare. Cosa cambia oggi con il suicidio (reale) virtuale? Cambia che dal momento che la società, il gruppo dei pari ti nota se sei osservato, se sei “visibile” sui social, il grido di disperazione si esprime lì, lì trova spazio ma sempre di grido si tratta. Gioco o non gioco, la persona vede nel suicidio la sua “salvezza”, il suicidio è la conquista della libertà dal proprio malessere. Quell’atto “eroico” è una sconfitta perché il coraggio (ergo la risorsa) anziché essere indirizzato alla risoluzione del disagio esistenziale viene investito nel più grave atto autolesionista. E’ necessario parlare di suicidio non come atto eroico (che coraggio ha uno che si suicida…) ma affrontare il suicidio in chiave preventiva e quindi riflettere sugli interventi di sostegno. I segnali di un forte disagio spesso sono presenti ed occorre saperli cogliere anche con un’adeguata comunicazione scuola-famiglia che inviti a riflettere e prendere in considerazione i cambiamenti nel minore: disattenzione, cambiamenti nelle abitudini di vita, reazioni comportamentali anomale, irrequietezza et al. Infine, non possiamo sottacere come, i media abbiano un ruolo importante: la diffusione dei servizi e dei reportage suicidari dovrebbe tenere conto delle raccomandazione contenute nelle Recommendations for reporting on suicide pubblicate dall’American Association of Suicidology (allegate). Ad esempio la causa di morte dovrebbe comparire nel corpo della storia e non nei titoli, inoltre nel corpo della notizia è preferibile scrivere “colui che è morto a causa del suicidio” piuttosto che il “suicida” in quanto tale espressione riduce le persone al mondo della morte oppure denota un comportamento criminale. La sfida non è avere il coraggio di suicidarsi, la sfida è avere il coraggio di andare avanti a vivere.

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